Polizia di Jo Nesbo
Quando si pensava in grande di Rossana Rossanda
La felicità in America di Enrico Deaglio
Briganti di Magnus
Quindici narrazioni di una quindicina di pagine ciascuna, una meraviglia al quadrato, per la prima raccolta di racconti di Alice Munro, uscita nel 1968. Nel racconto Il cowboy della Walker Brothers è il rapporto tra padre e figlia a dominare i pensieri della bambina, fiera del privilegio di attraversare il territorio con un uomo disposto a portarla con sé, ma deciso a lasciarla sulla soglia del proprio mistero. Lo studio incomincia con queste parole: «La soluzione alla mia vita mi venne in mente una sera mentre stiravo una camicia». È la soluzione woolfiana della «stanza tutta per sé», nel cui quieto silenzio si dovrebbe poter rimediare la libertà necessaria alla scrittura. Ma un intruso cortese si intromette in quella solitudine come un pensiero molesto, come il tarlo di un’inadeguatezza e il presagio della futura domanda: Chi ti credi di essere? Quasi in risposta, Munro afferma che La pace di Utrecht fu «la prima storia che dovevo assolutamente scrivere», lo spartiacque artistico dopo il quale «mi resi conto che alcune cose dovevano essere scritte da me». Ad esempio la fuga, o meglio le molteplici fughe, da un mondo, da una lingua materna, che il morbo di Parkinson ha reso fonte di imbarazzo, dal dovere di esserci in conflitto con il desiderio di andare. Nel racconto, il conflitto si inscrive nelle vite parallele di due sorelle: Maddy, che è rimasta, e Helen, che ha fatto dell’andare via l’inizio di un affrancamento e la condanna a un ritorno inconsumabile. In Danza delle ombre felici l’anziana maestra di pianoforte Miss Marsalles si ostina a invitare le madri dei suoi allievi a un noioso saggio di fine corso. Il prestigio dell’insegnante si è andato ridimensionando come le case in cui abita, e quel rinfresco estivo ha ormai assunto i contorni di un rito doveroso e snervante. All’improvviso tuttavia accade che l’impensabile si manifesti con un inatteso scampolo di perfezione musicale. Lungi dall’essere salvifico, il modesto miracolo avrà come unico effetto quello di strappare il tessuto grigio di una comunità infeconda, ora turbata da un dono che è incapace di ricevere.
Dopo dieci anni Dave Eggers torna al romanzo classico con Ologramma per il re, il ritratto commovente e profondo di un uomo contemporaneo, un qualunque cinquantenne occidentale, alle prese con le conseguenze della crisi globale che investe il suo mondo privato e professionale.
Alan Clay è partito dal nulla come venditore porta a porta e ha fatto una certa strada nella vita. Negli ultimi anni però la crisi della sua vita privata e dei mercati si è abbattuta su di lui lasciandolo stremato, tendenzialmente ubriaco, con un conto cronicamente in rosso. Se vuole pagare la rata del college di sua figlia ha solo una scelta: trovarsi subito un lavoro, e bene pagato.
La sua unica chance si chiama Re Abdullah ed è il proprietario di un’immensa oasi nel mezzo del nulla, che intende ingrandire dotandola delle più moderne infrastrutture. Il compito di Alan è difficilissimo: convincere il Re ad acquistare la sua mirabolante invenzione: un ologramma in grado di far apparire chiunque in 3D, direttamente nella tenda del Re in pieno deserto.
Taeko, elegante e avvenente trentanovenne, conduce una vita agiata e godereccia, destreggiandosi tra l’atelier di cui è proprietaria, le amiche con cui condivide racconti piccanti e gli eventi mondani. Stereotipo della divorziata indipendente dell’alta società nipponica del dopoguerra, dove il desiderio di occidentalizzazione si contrappone ad antiche tradizioni e pregiudizi, Taeko non vuole rinunciare al proprio stile di vita né alla libertà. Poi, una sera, incontra il giovane Senkichi in un gay bar e l’attrazione è fatale. Una magia che scaturisce dalla carne fresca e virile del ragazzo, dai suoi muscoli tesi, dai lineamenti fieri del viso. La vita di Taeko cambia in un batter d’occhio: proprio lei che aveva sempre voluto solo avventure si ritrova irrimediabilmente in balìa di un giovane tanto bello quanto misterioso. Ne scaturisce un gioco perfido e ossessivo. Ma chi è davvero la vittima? Chi il carnefice?
La scuola della carne è un romanzo del 1963 finora inedito in Italia. È stato portato sul grande schermo da Benoît Jacquot nel 1998, con Isabelle Huppert nel ruolo della protagonista.
Pubblicato per la prima volta alla fine degli anni Ottanta dopo essere circolato clandestinamente fra gli intellettuali, il romanzo di Vladimir Sorokin descrive una situazione tipica delle città sovietiche, ovvero la coda che si formava endemicamente di fronte ai negozi, espressione di un tratto patologico di quella società. Ambientata a Mosca, la vicenda si snoda ininterrotta tra i rappresentanti di un’umanità in costante attesa, cogliendo in quel momento una valenza simbolica e dilatandolo a una più generale condizione esistenziale. Spettatore indifferente, Sorokin utilizza il linguaggio della cultura di massa e immerge il lettore in una realtà assurda, a tratti grottesca.
La forza della Coda sta nel fatto che non immagina ma descrive, senza però essere calco meccanico del reale: un libro simbolo di una stagione storica, che scolpisce e rimodella il vissuto quotidiano e impone Sorokin come uno dei più originali narratori della sua generazione. |
|
|
Vladimir Sorokin, nato nel 1955, dopo gli studi di ingegneria ha lavorato come illustratore di copertine. Negli anni Settanta ha aderito al concettualismo moscovita. È autore di romanzi, racconti, pièce teatrali e sceneggiature cinematografiche.
|
Jo Nesbo “Polizia” Einaudi 21€
Un serial killer ha preso di mira il corpo di polizia di Oslo. Qualcuno sta uccidendo gli agenti in modo brutale. Qualcuno di cui si fidano. Cos’altro deve succedere perché Harry Hole si decida a intervenire? Ammesso che sia ancora vivo.
Dopo Lo spettro, un nuovo episodio della serie noir piú popolare al mondo. Venti milioni di copie vendute.
Jo Nesbø è nato a Oslo nel 1960, da una famiglia di scrittori, lettori e cantastorie.
Prima di abbracciare il suo destino e diventare il piú grande autore di crime norvegese si è cimentato in mille mestieri. Ha giocato a calcio nella serie A del suo paese, ha lavorato come giornalista freelance, ha fatto il broker in borsa. Cantante e compositore, si esibisce tutt’oggi regolarmente con la band norvegese dei Di Derre. Ha scritto qualcosa come quindici libri, spaziando dal giallo alla letteratura per l’infanzia, con esiti spesso geniali. Il leopardo(Einaudi, 2011 e 2012) è l’ottavo capitolo della serie che ha come protagonista Harry Hole, detective specializzato in omicidi seriali, e che ha sancito il successo internazionale di Nesbø. Nel 2012, sempre per Einaudi Stile libero, è uscito Lo spettro, nel 2013 Il cacciatore di teste e Polizia. Delle sue opere sono state vendute, in tutto il mondo, piú di nove milioni di copie. I suoi romanzi precedenti sono stati pubblicati in Italia da Piemme.
Dal sito di Einaudi lo speciale sul libro
«Queste interviste sono piuttosto liberi dialoghi, colpi di sonda, che raccontano come questo o quel personaggio vedeva il mondo in quel preciso tempo e luogo. Rilette a distanza di tempo e di luogo, esse offrono non poche sorprese. Gli interrogati sono tutti uomini, come se non avessi incontrato nessuna donna coinvolta nella politica “classica” del Novecento. Dico “classica” perché i personaggi femminili piú impegnati che ho avuto la fortuna di conoscere lavoravano su quella questione fondamentale che poteri, storia e diritto hanno sempre tenuto sottotraccia, cioè il rapporto e conflitto di genere che percorre tutta la vicenda umana».
Rossana Rossanda, nata a Pola nel 1924, allieva di Antonio Banfi, antifascista, ha partecipato alla Resistenza. Dirigente del Pci – ne è stata radiata nel 1969 in quanto esponente della sinistra critica del partito – e fondatrice della rivista, poi quotidiano, «il manifesto». Presso Einaudi ha pubblicato La ragazza del secolo scorso (2005), Un viaggio inutile (2008) e Quando si pensava in grande (2013). Tra i suoi libri ricordiamo L’anno degli studenti (De Donato, 1968); Le altre. Conversazioni sulle parole della politica (Feltrinelli, 1979); con Pietro Ingrao e altri,Appuntamenti di fine secolo (manifestolibri, Roma 1995); con Filippo Gentiloni, La vita breve (Pratiche, 1996); con Carla Mosca, il libro-intervista a Mario Moretti, Brigate Rosse. Una storia italiana (Baldini Castoldi Dalai, 2001).
La Rossanda parla della crisi europea. Da youtube.
Nel 1983, per seguire il presidente della Repubblica Sandro Pertini in visita ufficiale, Enrico Deaglio chiede il suo primo visto di entrata negli Stati Uniti: da allora visitatore assiduo, oggi è un “permanent resident” a San Francisco. “Questo libro è il risultato di trent’anni di viaggi e soggiorni di un giornalista privilegiato, perché non aveva particolari obblighi noiosi, non era tormentato dal bisogno (‘Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar’), non doveva scegliere tra ‘tu vuo’ fa’ l’americano’ e ‘yankee go home’ e si poteva permettere di giocare all’eterno studente degli usi e costumi locali. Ci sono racconti grandi e minimi, delitti, passioni, paesaggi, ritratti di persone e un sacco di ‘americanate’, secondo me bellissimo termine con cui chiamiamo quello che ci sembra smodato, ingenuo, un po’ volgare… e irresistibile.” Il numero di sarti italiani a New York nel 1916, la ricetta del sandwich che uccise Elvis Presley, la terribile storia dei mastini della Fratellanza ariana, il primo soldato ucciso a Baghdad, il viaggio in America di Sigmund Freud, la morte misteriosa dell’italiano più famoso d’America, l’anarchico Carlo Tresca, il Far West di Steve Jobs e degli scienziati che volevano sbancare Las Vegas, fino a quella vetrina di Castro a San Francisco dove comparve il primo avviso che la peste era arrivata nel paradiso dei gay. Un viaggio sentimentale lungo tutta la leggenda americana.
Enrico Deaglio (1947), giornalista, conduttore televisivo e scrittore, ha diretto i quotidiani “Lotta Continua” e “Reporter”, e il settimanale “Diario della settimana”. Tra le sue opere ricordiamo: Cinque storie quasi vere (Sellerio, 1989), La banalità del bene (Feltrinelli, 1991), Il figlio della professoressa Colomba (Sellerio, 1992), Raccolto rosso. La mafia, l’Italia (Feltrinelli, 1993), Besame mucho (Feltrinelli, 1995), Bella ciao (Feltrinelli, 1996), Patria. 1978-2008 (il Saggiatore, 2009), Il raccolto rosso 1982-2010. Cronaca di una guerra di mafia e delle sue tristissime conseguenze (il Saggiatore, 2010), il romanzo Zita (il Saggiatore, 2011), Il vile agguato (Feltrinelli, 2012) e La felicità in America (Feltrinelli, 2013).
Una presentazione del libro con l’autore. Modera Luca Sofri. Da youtube.
Il racconto di una rivoluzione, quella dei diseredati che finalmente insorgono contro il giogo della casta, e avanzano sotto un cielo solcato da fasci luminosi di “gordoniana” memoria: ecco come Magnus tradusse il classico della letteratura cinese del XV secolo I briganti. Attraverso i chiaroscuri del maestro bolognese scaturisce quindi una storia dal sapore orientale a tinte forti, immersa in atmosfere medievali che all’improvviso si popolano di motociclette, astronavi, tank da guerra e flotte di astronavi coinvolte in scontri intergalattici, nel crescendo a dir poco tonante di questo ennesimo capolavoro firmato Roberto Raviola.
MAGNUS, al secolo Roberto Raviola (1939-1996), è stato uno dei più grandi autori del fumetto italiano. Ha creato, con lo sceneggiatore Max Bunker, personaggi ormai storici come Alan Ford, Kriminal e Satanik. Rizzoli Lizard ha dedicato al maestro i due volumi Erotico e Fantastico e Racconti erotici e dell’orrore.
Un’intervista a Magnus. Da youtube.